lunedì 31 dicembre 2012

Anno nuovo, vita e parole nuove!

NEL TEMPO

Questo tempo indeciso
si dilata e si restringe
come un maglione in lavatrice.
E io, più indeciso di lui,
mi altaleno nel ruolo
di servo e padrone.


Nella nebbia del futuro
scorgo i tratti di un percorso
già tracciato e calpestato:

nuovi bivi, stessa strada,
desideri e rimpianti
si impastano nella stessa torta.


Questo tempo mi scorre
accanto e attraverso,
incontrollabile mi trascina
come una tempesta in mare aperto.
mi cullo tra le sue onde
fantasticando su cosa sarà.



domenica 30 dicembre 2012

Una "Bridget Jones" nostrana

IL PIACERE E' TUTTO MIO

Vedere centinaia di commedie romantiche hollywoodiane ogni venerdì sera dall’età di dodici anni ti porta a valutare come altamente probabile la possibilità che in circostanze come questa un uomo sulla trentina, dannatamente attraente, ti prenda sotto braccio, ti accompagni sotto un ampio ombrello alla sua macchina e ti dia un passaggio a casa. Invece l’acqua ti inzuppa i capelli, cola attraverso i vestiti e non c’è verso che l’autobus si sbrighi ad arrivare. Ti assicuro che non c’è niente di sexy in tutto ciò. L’unico complimento che ti viene rivolto, se così si può chiamare, è il rozzo apprezzamento con tanto di fischiatina del primo camionista che passa davanti alla fermata.
Maledetti registi di Hollywood, maledetta industria cinematografica, con le sue stelle perfette, anoressiche e drogate, maledetti i colpi di fulmine e le farfalle nello stomaco alla vista di uno sconosciuto, perfetto pure lui, maledette le frasi fatte e le battute ritrite, maledetto il ci siamo appena incontrati eppure mi sembra di conoscerti da sempre, maledetto il lunedì e maledetta la pioggia. Potrei andare avanti a lungo, soprattutto oggi, ma voglio risparmiare tutta l’energia che mi resta per produrre calore e scongelare la punta delle dita e il naso. Maledetto il freddo sotto zero e anche quello sopra lo zero.
Con una predisposizione d’animo che non definirei tra le più adatte sono arrivata a lavoro, in ritardo ovviamente, e lo squillo del telefono in ufficio era un crescendo angosciante. Il numero di cose da fare supera già di gran lunga il tempo disponibile per realizzarle ed è solo l’inizio di questa giornata infernale. Levo il cappotto e la giacca zuppe e le appoggio sul termosifone, vado per sedermi alla scrivania quando noto la presenza di un intruso. D’istinto penso di essere nel pieno di un dopo-sbornia, mentre fisso i miei occhi in quelli del gatto. Un enorme, obeso gatto nero con una chiazza bianca intorno all’occhio sinistro se ne sta accoccolato sulla mia sedia. Solo dopo qualche secondo e un pizzicotto, realizzo di essere sveglia e noto il biglietto incastrato nel collare del tronfio animale, che non sembra avere intenzione di schiodarsi presto dal mio posto.

Sei un tesoro!
(Per questo ti ho assunta)
prenditi cura di Maya,
sono al convegno ma torno per le 17

Ecco cosa ti frutta un master in marketing: un lavoro precario da segretaria, sommersa da una valanga di telefonate, che riceverai in piedi perché il gatto obeso del tuo capo ti ha fottuto la poltrona. Mi chiedo dove sia finita la mia fata madrina, poi penso che con la mia solita fortuna mi sarà toccata una fata fattona o alcolizzata che dimentica i propri doveri.

-Ti aspettavo per le 8, ecco il tuo caffè… E’ freddo.

-Grazie Tanya, secondo te se mi siedo sul gatto capirà che deve levarsi?

-No, quel gatto è odioso! Sarebbe capace di fare la spia con la padrona piuttosto!

Che poi i gatti a me non sono mai piaciuti nemmeno se animati da Walt Disney. Tutti i bambini avevano paura di essere lasciati da soli al buio? Beh, io ero pervasa da brividi di terrore non appena mia sorella estraeva dalla custodia la cassetta degli Aristogatti. Per non parlare dell’istinto di fuga scatenato dall’immagine poco suggestiva di 44 gatti con le code allineate, in fila per sei col resto di due. Perciò oltre al danno di essere trattata come un’inetta dal mio capo, subisco la beffa di avere un gatto per collega.

-E fallo un sorriso ogni tanto, alle 17 comunicheranno i fortunati responsabili in partenza per la convention di Lione… Se vuoi un parere personale temo che il tuo look da miss maglietta bagnata non sarà così efficace.

-Tanya, non è giornata. Non sono in vena di battute. Non hai visto quanto diluvia oggi? Sono arrivata a piedi fin qui.

-Per te non è mai giornata! Non mi stupisce che qualunque ragazzo io ti presenti riceve un’importantissima chiamata di lavoro a metà del vostro appuntamento e scappa senza nemmeno finire la cena.

Tanya è la tipica ottimista da compensazione: sente il pressante dovere di bilanciare la mia negatività, mostrandomi la bellezza della vita. Organizza e mi coinvolge in uscite tra amiche in mezzo alla natura, picnic, feste a sorpresa, feste a tema senza un perché, appuntamenti al buio, in penombra e pure alla luce del sole. Finora i risultati scarseggiano, ma più mi rassegno a vivere da outsider nella mia prospettiva di ribrezzo nei confronti di pressappoco il mondo intero, più lei compensa con esasperanti speranze per il futuro e una determinata voglia di farmi inserire nella cerchia delle persone che frequenta (pressappoco tutto il mondo). E’ un circolo vizioso.
L’ultimo ragazzo che mi ha presentato, Giulio, era un biondino niente male, camicia bianca a righine azzurre, orologio da polso enorme e quintali di profumo da 70€ a boccetta. Un principe azzurro, se non fosse che nel corso dell’appuntamento (2 ore circa, il tempo di una cena al ristorante lussuoso scelto da lui) ha ripetuto per 37 volte, le ho contate giuro, non per vantarmi ma… Le persone narcisiste sono fastidiose, ma le persone narcisiste che negano di esserlo e pretendono che sfoderi un’espressione sorpresa e ammirata per ogni dettaglio della loro vita che inseriscono in modo subdolo nella conversazione sono insopportabili.
Ripensare ad appuntamenti-disastro simili non fa che rafforzare la mia nera previsione sul futuro. Diventerò una triste gattara. Oddio, no. Una gattara senza gatti, però. Una triste zitella inacidita in 50 metri quadri di appartamento.

-Inesatto. Hanno sempre finito la cena, avevamo semplicemente punti di vista divergenti su… tutto.

-Ti sei mai chiesta perché il tuo punto di vista diverge da quello di ogni altro essere umano? Ti lascio al tuo lavoro e a Maya. A proposito, dov’è sparita?

La mia sedia è totalmente ricoperta di peli neri, ma non c’è altra traccia di Maya. Il mio viso assume la colorazione di un lenzuolo e penso che adesso sono davvero fottuta.

-L’ho persa!

-Ma figurati, tesoro. Era qui 5 minuti fa, è un gatto non un ghepardo.

-Sempre di felini si tratta. Il mio posto di lavoro attualmente dipende dal ritrovamento della gatta obesa, ti prego dammi una mano.

Sono pervasa dall’angoscia. Cammino a una velocità esasperata e guardo in ogni angolo alla ricerca di quel muso baffuto. Faccio irruzione come una pazza nella sala fotocopie accanto al mio ufficio, mi inginocchio e gattonando osservo sotto la scrivania, dimenticando totalmente di non essere sola. Lorenzo Piani, addetto alle vendite, 32 anni, non riesce a trattenere una genuina e fragorosa risata di fronte all’imbarazzante scena di cui mi sono resa protagonista.

-Mi sono perso qualche nuova trovata pubblicitaria dell’azienda, per caso? Gli impiegati a quattro zampe e gli animali domestici alla scrivania… mi sfugge il messaggio sinceramente.

Sono un po’ confusa dal suo immenso sorriso bianchissimo e la fantasia riprende con una serie di scene romantiche di film dalla qualità cinematografica discutibile. Premo pausa e riemergo nella realtà, dove la mia gonna a tubino si è sollevata a un’altezza indecente e per alzarmi velocemente sbatto anche la nuca contro la scrivania. Un’umiliazione continua. Mi porge la mano destra e con fare disinvolto, per quanto mi è possibile, mi presento.

-Piacere, Sara Torrani, sono la nuova segretaria

-In realtà cercavo solo di aiutarti a uscire da sotto quella scrivania, ma il piacere è tutto mio. Sono Lorenzo.

Maledetto il lunedì e maledetta la pioggia, maledetto il mio capo e maledetta la mia fata madrina. La situazione non fa che peggiorare.

-Scusa… Stavo cercando il gatto. Ora lo prendo e ti lascio lavorare.

-Ho notato la sua presenza da almeno 5 minuti, ma ti confesso che ho scarsa simpatia nei confronti di gatti in sovrappeso, credo che lo stregatto di Alice mi abbia suggestionato un po’ troppo da bambino.

Ecco un risvolto inaspettato della mia giornata assurda: scoprire che il mio punto di vista diverge da quello della maggior parte degli esseri viventi, ma non di tutti. Ho finalmente un argomento a mio favore per diminuire il processo di compensazione di Tanya.

-Non me ne parlare. Quando ho accettato il lavoro, evidentemente non avevo idea di ciò che mi aspettava.

Accenno un timido sorriso e mi affretto alla porta nella speranza di non dare nell’occhio per l’ennesima volta. Desidero solo che si dimentichi totalmente di me, di ciò che ha appena visto. Quanti impiegati lavoreranno in questo edificio? Come minimo un numero a 3 cifre. Faccio per uscire ma la sua voce mi frena.

-Spero di incrociarti di nuovo, Sara. Magari senza gatti nei dintorni.

E di nuovo quel sorriso disumanamente bello. Ricordami di insultare più spesso il mondo intero, se questo è il suo modo di dimostrarmi che non è poi così maledetto. Sara 1, maledetto lunedì 0. Maya comincia a fare le fusa tra le mie braccia e i suoi occhi trasmettono una furbizia subdola e misteriosa.

-E’ inutile che mi guardi così, non mi piaceranno mai i gatti!


sabato 29 dicembre 2012

Doppio ritratto: Sofia e Marco

SOFIA & MARCO

Reggeva un capo dello spago, quasi fosse il dono più prezioso che le avessero mai fatto. Le dita strette intorno al cordino sbiadito e gli occhi fissi all’altro capo. Quando la mano sudava e lo sentiva scivolare via, aggiungeva un piccolo nodo e vi si aggrappava. Era stata un’idea di suo fratello, ma l’aveva accolta come un ordine imprescindibile. Ogni proposta di Marco diventava legge, non perché avesse un piglio autoritario, ma perché agli occhi Sofia ogni parola proveniente dalla sua bocca era verità. Sapeva che Marco era in grado di mentire, ma perfino le sue bugie erano per lei verità. Ogni sua parola era specchio della vita, della realtà da cui Sofia doveva e voleva imparare. Era il suo modello di riferimento. Imitava goffamente ogni suo gesto per sentirlo più vicino a sé, per avvicinarsi a lui sempre più.

Era un caldo agosto e trascorrevano quell’estate nella casa in montagna. Marco amava esplorare i boschi e non riusciva mai a convincere sua sorella della pericolosità delle sue spedizioni. Così optò per la prima cosa utile che trovò nello scantinato. Prese le forbici un po’ arrugginite e tagliò un pezzo di spago lungo circa dieci spanne.

-Non devi lasciarlo mai, per nessun motivo.
-E se starnutisco e devo soffiarmi il naso?
-Se non riesci a soffiarti il naso con una mano, forse il mondo delle avventure non fa per te...

La provocava con uno sguardo determinato.

-Non lo lascerò mai, per nessun motivo.

Lo fulminò con occhi di fuoco.

-Bene, non lo lascerò nemmeno io… Pronti, via!

Un’ora dopo le foglie e i rami secchi scricchiolavano sotto i loro scarponcini. Marco non si era prefissato una meta, preferiva godersi il paesaggio e lasciarsi sorprendere da ogni nuova cima che faceva capolino all’orizzonte. Sofia era costantemente distratta da una cascata di pensieri che le impedivano di ammirare ciò che la circondava. Era convinta di dover iniziare a preoccuparsi per il proprio futuro e classificare le sue numerose ambizioni per raggiungerle al più presto, obiettivo dopo obiettivo. Non aveva mai amato il ruolo della piccolina in famiglia ed era impaziente di accorciare quello spago e raggiungere fianco a fianco suo fratello. Il suo corpo non sembrava essere d’accordo, tanto che rallentò il passo e iniziò a inciampare ogni volta che lo spago la invitava con un leggero strattone.

-Camminiamo da due ore, non potremmo fermarci a riposare un po’?
-D’accordo, avviciniamoci a quel masso laggiù e mettiamoci all’ombra.

Aprì lo zaino e tirò fuori un telo, Sofia ci si sdraiò subito e lo occupò completamente, muovendo su e giù le braccia spalancate a mo’ di angelo. Pochi minuti dopo Marco la guardava, addormentata sotto un sole cocente, e pensava al carico di responsabilità che gli era stato rifilato per il solo fatto ti essere nato otto anni prima. E’ come se la propria data di nascita fosse in qualche modo profeta di un destino segnato e regista autoritario del dramma che bisogna interpretare. Non è che pretendesse chissà cosa, non era così stupido da credere che la libertà sta nella vita priva di regole, ma avrebbe voluto contestarne un paio, farsi concedere almeno l’opportunità di avere voce in capitolo. Slegò lo spago dal proprio polso e, raggomitolandolo accanto alla sorella, notò che anche nel sonno stringeva il suo. Respirò i ricordi d’infanzia e pensò a come sarebbe stato senza di lei. Si pentì di desiderare una vita diversa, perché le voleva un bene dell’anima e avrebbe fatto di tutto per proteggerla. Desiderava il meglio per lei, eppure il peso dello sguardo di quella bambina di nove anni lo schiacciava come una pressa. La sua fiducia cieca e illimitata lo soffocava, l’amore ingenuo e sincero lo accusava tacitamente di non essere in grado di ricambiare quel sentimento puro e perfetto nella sua semplicità. Arrivò fino al fiume per una piccola esplorazione in solitaria. Tornerò prima che si svegli, pensò. Giunse accanto al ruscello e si accovacciò su un sasso nel tentativo di riempire la borraccia. Poi un ponte di legno catturò la sua attenzione, la sua scarsa stabilità era inversamente proporzionale alla sua capacità attrattiva. Si fiondò a osservarlo da vicino.

Nel frattempo Sofia si svegliò e balzò in piedi, entusiasta e impaziente di tornare a esplorare con la sua personalissima guida. Riacquistata piena lucidità, notò quell’assenza ai suoi occhi imperdonabile. Si voltò in ogni direzione ma non vide traccia di Marco, né del suo zaino. Era da sola nel bel mezzo del nulla su un ampio e morbido telo con una promessa ancora legata al polso.

 -Non lo lascerò mai, per nessun motivo.
-Bene, non lo lascerò nemmeno io…

Quell’amore ingenuo di bambina lasciava già spazio a un amore adulto: paziente e ricoperto di ferite. Si sdraiò di nuovo e richiuse gli occhi, fingendo di dormire, nell’attesa di sentire i suoi passi pesanti avvicinarsi.
Controllò che avesse gli occhi chiusi e riallacciò la spago intorno al proprio polso. Poi appoggiò delicatamente una mano sulla spalla di Sofia

-Dormigliona, è ora di ripartire… Coraggio.

-Sono pronta!







venerdì 28 dicembre 2012

Lontano

LONTANO

Sono sul fuso di New York
o sono semplicemente fuso?
Mentre il buio copre
ogni angolo di vita,
sorge l’alba sui miei dubbi.

Un’ansia di fuga
spinge la mente lontano da qui,
lontano da me, da ogni ruga.
Poi mi immagino diverso,
potrei essere migliore,
vivo quello che non c’è
e dimentico il grigiore.

Immagini in contrasto
scorrono veloci sul vetro,
le osservo senza capire,
le guardo senza agire,
ma la tentazione è forte.

Sono sul fuso di San Diego
o sono semplicemente fuso?
Mentre il silenzio soffoca
vivaci risate della sera,
il rumore è assordante in me.

Un’ansia di fuga
spinge la mente lontano da qui,
lontano da me, da ogni ruga.
Poi mi immagino diverso,
potrei essere migliore,
vivo quello che non c’è
e dimentico il grigiore.


Sono lontano
e non sono mai partito,
non so spiegarla ma è voglia di infinito.